Prati, commons

Giornate internazionali di studio sul paesaggio

2017, tredicesima edizione
giovedì 16 e venerdì 17 febbraio

 

Intorno alla parola “prato” inteso come luogo, e alle diverse declinazioni – prato, pré, prado, green, common, … – che questo luogo assume nella storia della città, si concentra quest’anno la discussione della tredicesima edizione delle Giornate di studio sul paesaggio, organizzate dalla Fondazione nei giorni 16 e 17 febbraio 2017.

Sulla scorta di un’esperienza svolta sul campo – il workshop 2016 della Fondazione sul tema “Prato della Fiera. Treviso, il Sile e il paesaggio di un grande spazio pubblico”, che ha rappresentato un momento di approfondimento su un vasto vuoto urbano sedimentato nella storia della città – prosegue la discussione sul valore dei “prati” e sulla ricerca di nuove accezioni di spazio comune nella dimensione urbana contemporanea.

Quello che in prima battuta può apparire il dominio di un colore (il verde?), uno spazio misurabile dal punto di vista ambientale, funzionale, urbanistico, oppure una “scoperta” per chi guarda alla storia del paesaggio urbano nei suoi aspetti meno appariscenti, risulta essere, invece, un terreno scomodo ma promettente, denso di interrogativi per discutere sul valore degli spazi pubblici, del loro significato attuale in relazione alla cultura e alla pratica del paesaggio.

Dispersi nelle frange di vecchie e nuove periferie urbane, i prati – i “nuovi prati”, così come saranno chiamati nel corso delle giornate – sono oggi spazi in attesa che ci interrogano sul valore della socialità, sul senso del bene comune, sulla necessità di abitare un tessuto connettivo che ha bisogno di uno sguardo di sintesi, oltre le diverse visioni disciplinari.

I prati sono stati storicamente luoghi delle fiere, dei mercati, di intensi scambi leciti e illeciti, fino a quando una diversa struttura urbana e sociale ne ha ridisegnato i confini, ha modificato la loro percezione fino a riconoscere anche nell’abbandono una potenzialità.

La natura di questi luoghi, caratterizzati da dimensioni estese, assenza di un disegno strutturato, multifunzionalità più o meno voluta, sollecita uno sguardo paesaggistico, capace di cogliere il senso della loro interezza. La grande spianata dei musei di Amsterdam – il Museumplein, progettato dal paesaggista Sven-Ingvar Andersson – sarà in questo senso un punto di riferimento alto, come è stato nel 2008, quando il luogo venne insignito del Premio Carlo Scarpa per il Giardino. Questo esempio si pone a cavallo tra la storia dei “prati” fuori porta e la lunga stagione, ancora in corso, delle molte spianate e degli spazi che l’abbandono di attività industriali e infrastrutture consegna alla città contemporanea. In questi luoghi si gioca la scommessa di un nuovo paesaggio che guarda, per esempio, al “ritorno” di comunità di piante spontanee come questione progettuale, così come alla diffusione delle molte “azioni dal basso” con le quali altre comunità, quelle cittadine, mettono in gioco nuove forme di uso, di socialità, di pratiche paesaggistiche.

 

Fotografia di Steven Clifford Cohen