Campi, giardini, e comunità carcerarie

Dalle colonie penali agricole dell’Arcipelago toscano al vivaio di Cascina Bollate
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Nell’ambito del ciclo Naturale inclinazione 2014, incontro pubblico con Mariapia Cunico (architetto e paesaggista, Università Iuav, Venezia), Paola Muscari (paesaggista, studio BMB, Verona) e Susanna Magistretti (giardiniera, presidente della Cooperativa sociale Cascina Bollate, Milano).

 

La relazione tra carceri e giardino e tra carceri e paesaggio si presta a molteplici letture. Se da un lato evoca, inevitabilmente, immagini del passato fatte di isolamento e costrizione, dall’altro prospetta molte situazioni proiettate nel futuro, alcune di queste in attesa di nuove soluzioni e altre che invece alcune soluzioni le offrono, delineando prospettive concrete di rieducazione e riabilitazione sociale attraverso pratiche legate alla cura dei luoghi e alla coltivazione della terra.

Così nell’Arcipelago toscano piccole isole occupate per lungo tempo da insediamenti carcerari vivono oggi, in bilico tra progresso e memoria, una fase di svolta da economia agricola a economia turistica, da luogo di reclusione a luogo aperto a tutti. Laddove – si pensi a Capraia, a Pianosa, a Gorgona – la presenza del carcere ha segnato profondamente e a lungo la storia del territorio e della comunità, i luoghi in qualche modo sono stati preservati dagli effetti dell’invasione turistica che altrove, a partire dal secondo dopoguerra, ha stravolto paesaggi e modi di vita, e hanno potuto mantenere una fisionomia che dichiara apertamente una tradizionale e radicata appartenenza alla terra. Ma oggi, in un contesto completamente diverso nel quale molte delle colonie penali agricole sono state dismesse, sono richieste nuove attenzioni e adeguati pensieri progettuali.

Contemporaneamente nella casa di reclusione milanese di Bollate si sperimentano il potere straordinario del giardino e del rapporto con la natura nelle situazioni difficili e il contributo concreto che una nuova professionalità in questo campo, legata alla terra e alla cura, può dare per il graduale reinserimento sociale e la riconciliazione con il mondo fuori dal carcere e, prima ancora, con se stessi.