Eugenio Turri. Villaggi
mostra fotografica
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In mostra sono state esposte immagini scattate da Eugenio Turri a partire dai primi anni sessanta.
Le fotografie raffigurano villaggi, colti negli aspetti di vita, forma e misura, testimonianza dell’attenzione scientifica al tema del villaggio. Ogni fotografia va vista come un frammento di un’indagine complessa che comportava più viaggi e visite nello stesso luogo per verificare e confermare le proprie ipotesi sull’oggetto della ricerca.
È un repertorio antologico che propone fotografie in bianco e nero e a colori dall’aereo o da terra di luoghi molto amati e studiati in Mali, Mauritania, Eritrea, Etiopia, Marocco, Yemen, Afghanistan, Nepal, Cina e altri. Eugenio Turri ha scritto molto e in tempi diversi sul rapporto tra geografia e fotografia e tra fotografia e paesaggio. Già nel 1969 in un articolo scritto per «L’Universo» dichiara la sua predilezione per la fotografia aerea, non quella zenitale ma quella della ripresa aerea obliqua, come “forma di spettacolo, di godimento, di contemplazione geografica” che l’osservazione in volo consente. La visione aerea, con la quale la realtà geografica diventa oggettiva grazie a un effetto di estraniamento, permette al geografo di leggere e comprendere i segni dell’uomo impressi sulla superficie terrestre. Il racconto di Turri dei suoi voli è un insieme di impressioni visive e di note legate ai colori, alle campiture, ai motivi e ai grafismi con la loro ineludibile componente estetica.
Riportiamo di seguito un brano tratto da Eugenio Turri, Fotografia e illustrazione geografica, «L’Universo», 1972, n. 1, p. 83.
«… chi ha capacità di leggere un paesaggio dovrebbe teoricamente essere l’autore delle fotografie migliori, più ricche di significato. Ciò non è vero nella realtà. Il fotografo è prima di tutto colui che conosce l’occhio fotografico, che ne sa e prevede in ogni caso le capacità e i limiti quando si accinge a scattare la foto. Questo fatto, l’inciampo tecnico-fotografico, è sempre stato uno dei motivi per cui molti geografi non si sono mai sentiti fotografi […]. Proprio i geografi, invece, dovrebbero essere fotografi, perché essi più degli altri possiedono i codici per leggere il paesaggio […] (Bisogna anche ricordare che certi grandi geografi sono stati appassionati e ottimi fotografi, e ciò probabilmente perché l’amore autentico è possesso globale che si esprime anche in una cattura visiva, fotografica, definitiva benché parziale). […]
E così le più belle fotografie di paesaggio sono opera quasi sempre di non geografi, anche se di operatori sensibili al paesaggio, ai suoi momenti, alle sue forme, ai rapporti che in esso si svelano, alla luce che quelle forme e quei rapporti recepiscono e diffondono. Infatti la fotografia di paesaggio è bella non quando semplicemente racchiude effetti di luce curiosi o compostezza estetica, ma quando è vera, quando essa ha colto ed espresso le verità che anche il geografo cerca solitamente…»