Agenda novembre 2020

Mappe! Officine culturali della modernità

 Il geografo genovese Massimo Quaini in uno dei suoi libri più seducenti, L’ombra del paesaggio (Diabasis 2006), scriveva: «non c’è paesaggio senza mappa. Il paesaggio è una delle tante nostre mappe, che la carta geometrica formalizza, filtra nel suo linguaggio rigoroso e unificante, senza poterlo esaurire», e distingueva due tipi di mappe, quelle vuote e quelle piene, le prime perfette, le seconde imperfette. 

Le mappe vuote implicano il rigore matematico, rispondono a una logica globale, non contengono luoghi, ma esprimono distanze attraverso rapporti geometrici, mentre quelle piene mostrano i luoghi, narrano lo spazio conviviale delle comunità attraverso la ricchezza dei segni, dei toponimi, della conoscenza dei particolari. Lo studio della cartografia è pregiudiziale a qualsiasi ragionamento sui luoghi, non solo inteso come approccio filologico al documento, ma come modalità culturale di restituzione della percezione sociale delle comunità in rapporto ai propri luoghi. 

Anche da queste brevi riflessioni nasce il progetto di un ciclo d’incontri dedicato alle mappe, intese soprattutto come officine culturali e costruzioni certamente scientifiche ma del tutto umane e contestualizzabili nel loro tempo storico, intrise di significati, mai neutrali, come dimostra lo straordinario rapporto tra arte e cartografia. 

Naturalmente ci occuperemo anche degli artefici delle mappe, i cartografi. Lo storico dell’arte Michael Baxandall, in un innovativo studio sulla pittura italiana (Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento, Einaudi 1978), sosteneva che «le capacità visive sviluppatesi nella vita quotidiana di una società divengono parte determinante dello stile del pittore». Mutatis mutandis crediamo di poter traslare la medesima riflessione anche al lavoro dei topografi di ogni epoca, anch’essi parte integrante del contesto sociale in cui hanno vissuto e prodotto le loro opere con il linguaggio delle comunità di riferimento.

Le mappe promettono, progettano e immaginano il mondo, implicano coinvolgimento e interessamento verso ciò che ritraggono. Trasferiscono le attese della committenza (un singolo, una comunità, un’istituzione) su un supporto grafico in grado di trattenere una moltitudine di oggetti e ragionamenti. Sono una vera e propria enciclopedia e si sforzano costantemente di realizzare l’utopia di contenere tutti gli oggetti visibili, conformemente alla scala di rappresentazione. 

Ce n’è a sufficienza per curiosare in questa inesausta officina che da millenni accompagna la necessità umana di raffigurare i luoghi, per provare a governarli, per non perdersi, ma forse e più di ogni altra cosa, per anteporre un filtro rassicurante a una realtà non sempre amica, per mettere ordine al caos del mondo e, almeno nell’illusione cartografica, addomesticare gli oggetti e disporli con cura gli uni accanto agli altri, dando loro un nome con una giusta grafia, un adeguato colore per renderli più verosimili e prossimi. Forse il fascino delle mappe è proprio questo.

 

Massimo Rossi

geografo, Fondazione Benetton Studi Ricerche