Tre x tre = quattro. Nove passi nella storia del quartetto

tre concerti con il Quartetto di Venezia
, ore
chiesa di San Teonisto

La Fondazione inaugura la programmazione musicale con un viaggio nella storia del repertorio quartettistico scegliendo di affidarlo a una formazione cameristica conosciuta e apprezzata in Europa e nel mondo, ma che rappresenta anche un’eccellenza del nostro territorio: il Quartetto di Venezia (Andrea Vio, violino; Alberto Battiston, violino; Mario Paladin, viola;  Angelo Zanin, violoncello).

 

Il primo dei tre concerti del ciclo dedicato a un percorso nella storia del quartetto, si snoda perseguendo due piste: quella della caratteristica eccentrica all’interno della produzione dei loro autori e quella della declamazione più inaspettatamente poetica e lirica della stessa.

Questa caratteristica emerge fin dall’Adagio e fuga in do minoredi Wolfgang Amadeus Mozart che apre la carta di sala del primo appuntamento. È il 26 giugno del 1788 quando Mozart scrive di aver appena composto un breve Adagio per due violini, viola e basso, e una Fuga, testimoniando che questa pagina nasce in un periodo assai fecondo, caratterizzato dalla ricerca e riflessione sempre più approfondita sul contrappunto. L’Adagio e fuga per quartetto d’archi KV 546 è la trascrizione della famosa Fuga in Do per due pianoforti KV 426, fatta precedere da un Adagio estremamente espressivo e caratterizzato da una ricerca armonica tesa e audace. L’intera composizione si snoda in un percorso di ricercata armonia tesa continuamente a uno slancio verso una drammatizzazione che comparirà, approfondita, nella tarda produzione della musica da camera di Mozart.

L’Adagio e fuga in do minore suscitarono lo stupore dei musicisti contemporanei e pure l’ammirazione di Ludwig van Beethoven, il quale con il ciclo dei sei Quartetti Op.18 inaugura un nuovo modo di pensare alla forma del quartetto d’archi. Composti tra il 1798 e il 1800, Beethoven vi lavora assiduamente e continuamente, rielaborandoli, procedendo a una puntuale revisione, quasi mosso dalla consapevolezza che sarebbero divenuti un paradigma della forma, considerando anche la relazione tra questi lavori e i precedenti, oltre al dialogo con le opere di autori ancora viventi e per lui significativi quali Franz Joseph Haydn. Il Quartetto in Sol maggiore Op.18 n.2 si caratterizza per essere nel suo complesso come una bussola per leggere e orientarsi anche negli altri cinque. Caratterizzato da un forte equilibrio tra melodia e arditezza armonica, forte ricerca dell’aspetto ritmico, in relazione con la chiara ricerca lirica e retorica, in generale al Quartetto in Sol maggiore Op.18 n.2 si riconosce un notevole gusto per la sorpresa. Questa dimensione che molti studiosi definiscono “eccentrica ed estroversa”, informa l’intero ciclo e nel quartetto numero 2 si esplicita in maniera decisamente nuova per l’epoca.

La lezione dei quartetti op.18 e dei quartetti “Rasumoysky” di Beethoven, misero non poco in difficoltà compositori quali Johannes Brahms, spinti, dai modelli che si erano scelti appunto, a interrogarsi su nuovi orizzonti a cui rivolgere e portare la forma da camera quartettistica. Il Quartetto in La minore Op.51 n.2, che con il n.1 chiude il dittico dell’Op.51, rientra in questa ricerca operata da Brahms che si protrae in un lavoro continuo di invenzione e ripensamento sulle pagine scritte, mai convinto della bontà del suo lavoro avendo proprio come riferimento dei modelli considerati inarrivabili. L’invenzione brahmsiana si dipana in un tono fortemente poetico attraverso una voce sommessa ma intensa da cui il carattere del Quartetto in La minore Op.51 n.2 si diffonde con toni chiaroscurali estremante moderni. Il caratteristico inseguimento e sorgere di temi brevi ma continui lungo il corso di tutti i movimenti della pagina, sottolinea una grande natura spontaneamente orientata a ricercare all’interno della forma quartetto che all’epoca era considerato il genere “colto” per antonomasia della musica da camera.